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La crisi immobiliare cinese e le possibili conseguenze in Italia

La crisi del mercato immobiliare cinese non colpisce l'Italia, che conferma la solidità del settore nonostante il rialzo che da oltre un anno sta caratterizzando i tassi di interesse, con ricadute dirette sulle condizioni applicate ai mutui e prestiti.

Pubblicato il 11/09/2023

Aggiornato il 12/09/2023

porta città cinese
La crisi immobiliare che sta colpendo la Cina

La Cina è alle prese con una vera e propria crisi immobiliare, anche se va detto che questa evoluzione è tutt’altro che sorprendente alla luce delle avvisaglie emerse negli ultimi anni. Uno scenario che preoccupa anche il resto del mondo, data la rilevanza economica di Pechino, ma che non sembra poter impattare in modo considerevole sulla situazione italiana.

Cosa sta succedendo al mattone cinese

La situazione in Cina è precipitata a inizio agosto, quando Country Garden (primo sviluppatore immobiliare del Paese) non è riuscito a rimborsare obbligazioni per l’equivalente di 22 miliardi di euro. All’incirca negli stessi giorni il gruppo di fondi real estate Zhongrong International Trust ha mancato i rimborsi dovuti su decisine di prodotti d’investimento senza fornire rassicurazioni sulle tempistiche per rientrare. Inoltre, poco dopo Ferragosto, il colosso immobiliare Evergrande ha depositato l’istanza per la procedura di ristrutturazione del debito presso il tribunale di New York. Non si tratta di una vera e propria bancarotta, dato che manca l’istanza di fallimento, ma sta di fatto che – dopo due anni di ristrutturazione – la situazione societaria è ulteriormente peggiorata.

Il numero di immobili pignorati messi all’asta in Cina è salito di quasi il 20% annuo nella prima metà del 2023 rispetto a un anno prima, arrivando a superare quota 300mila unità, e al momento non si vedono segnali di un’inversione di tendenza, dato che il ciclo economico è in pieno rallentamento e verosimilmente le previsioni di una crescita del PIL nell’ordine del 5% dovranno essere riviste al ribasso.

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Le cause della crisi immobiliare

Per quasi 20 anni, il real estate è stato tra i principali motori della crescita economica in Cina. A fronte di forti ondate migratorie dalle campagne alle città, le banche hanno allargato i cordoni della borsa verso le aziende immobiliari, allentando i controlli. Così alcuni operatori si sono indebitati contando sul fatto che la crescita sarebbe stata inarrestabile, ma il castello è crollato con la crisi Covid, che ha spinto molti consumatori a una minore fiducia (e, quindi, minori acquisti) e le aziende a promuovere forme di smartworking. Tutto questo mentre le crescenti tensioni geopolitiche tra Pechino e l’Occidente raffreddavano gli investimenti nel Paese.

Cosa può accadere da noi

Detto della Cina, in un’economia globalizzata le preoccupazioni per le ricadute economiche arrivano fino a noi. Sono decine di migliaia le aziende italiane che esportano verso Pechino e l’indebolimento della crescita economica a Oriente inevitabilmente peserà sulla domanda.

Non sembrano, invece, esserci segnali di preoccupazione per l’immobiliare italiano. Già in passato, in presenza di crisi economiche globali, il mattone del nostro Paese ha mostrato una sostanziale capacità di tenuta, magari ritardando la ripresa rispetto ad altre aree geografiche.

Dalle rilevazioni dell’Agenzia delle Entrate emerge che nel primo trimestre 2023 le compravendite in campo residenziale sono calate dell’8,3% rispetto al medesimo periodo dello scorso anno, ma la situazione si va assestando, tanto che Scenari Immobiliari si attende un bilancio per l’intero anno in calo del 7% sul 2022, a quota 726 mila unità. Il calo è dovuto in parte all’aumento dei tassi sui mutui, ma soprattutto al clima di sfiducia dovuto al rallentamento del ciclo economico, ma i prezzi delle case – segnala Nomisma – anche nel primo trimestre sono saliti, mettendo a segno un +1%, che si aggiunge al 3,8% del 2022 (quest’ultimo dato censito dall’Istat).

In uno scenario ricco di incognite, il mattone viene percepito come bene rifugio, per cui le famiglie – laddove possibile – non rinunciano all’acquisto. Anche perché resta forte la domanda di chi lo fa per investimento, alla luce del boom prolungato che stanno registrando gli affitti brevi. Dunque niente drammi, anche se guardando più in profondità i dati emerge un divario crescente tra gli immobili ad alta efficienza energetica, che continuano a essere molto richiesti, e quelli più vetusti, che invece soffrono. Un fenomeno legato non solo al differente peso della bolletta energetica, ma anche alla proposta di direttiva europea “Case Green”, che prevede l’obbligo di raggiungere quanto meno la classe energetica E entro il 2030 e la D entro il 2033. A quest’ultimo proposito, a breve entrerà nel vivo il dibattito tra gli organi legislativi dell’Ue, con la previsione di arrivare a un testo base entro fine anno.

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A cura di: Luigi dell'Olio

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