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Mutui e prestiti: cosa cambia con la vittoria di Trump in USA
Donald Trump è il 47esimo presidente degli Stati Uniti. Durante la campagna elettorale ha esposto il suo programma economico, caratterizzato da tagli alle imposte e dazi pesanti all'import. Una strategia che dovrebbe far accelerare l'inflazione, frenando la Fed.

I futures di Wall Street, il dollaro e anche Bitcoin. La reazione della finanza al successo di Donald Trump alle elezioni presidenziali è all’insegna dell’entusiasmo. Eppure, fino alla vigilia non vi erano stati grandi scossoni, con gli investitori che si erano mostrati abbastanza indifferenti alla possibilità che prevalesse l’uno o l’altro candidato. Pertanto, potrebbe essere proprio il fattore chiarezza espresso dalle urne, con il venir meno del rischio di contestazione, la vera ragione dei rialzi generalizzati a caldo. Ma, prescindendo dal breve termine, cosa attendersi dalle politiche di Trump e quali impatti potrebbero esservi – ovviamente in termini indiretti – per il mercato italiano dei mutui e per quello dei prestiti? Proviamo a capirlo.
Il programma economico di Trump
Maganomics è il neologismo utilizzato per indicare il programma elettorale di Trump, crasi tra lo slogan usato dal magnate ed ex-presidente, cioè “Make America Great Again” e -nomics che sta per “economics”. “È una vittoria storica, sarà l’avvio di una nuova età dell’oro per l’America”, è stata una delle sue prime dichiarazioni, quando è apparso evidente l’esito delle urne. Trump punta sulla capacità di riportare la produzione negli Stati Uniti, contrastando la globalizzazione e anche a costo di rovinare i rapporti con i partner storici, in primis sull’Europa. Ha promesso tagli alle tasse, alle regolamentazioni e ai costi dell’energia, accompagnati da una serie di dazi sull’import dall’estero. L’obiettivo è tassare del 10% tutte le merci in arrivo da oltrefrontiera, con la possibilità di salire al 20% o anche al 60% per quelle cinesi, con punte anche maggiori per settori come quello automobilistico.
L’ex Presidente ha inoltre annunciato la possibile introduzione di una “tariffa punitiva” del 100% sulle importazioni per quei Paesi che proveranno ad abbandonare il dollaro come valuta di riserva. Durante il suo primo mandato da presidente, Trump ha ridotto l’aliquota fiscale per le imprese dal 35 al 21% e ora promette di portarla al 15% purché la produzione sia localizzata entro i confini statunitensi. Una proposta in netto contrasto con il programma democratico, che puntava invece ad aumentare l’aliquota al 28% per le imprese e per chi dichiara redditi superiori al milione di dollari. Inoltre, ha garantito che rinnoverà gli sgravi fiscali sui redditi personali, eliminando anche le imposte su mance, straordinari e sussidi.
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L’impatto sul debito pubblico e sull’inflazione
Se queste misure verranno approvate, anche solo in parte, si avrà un impatto notevole sul bilancio pubblico americano, che già da tempo è sotto pressione. La soluzione proposta è di tagliare la spesa federale, incaricando una commissione governativa, guidata da Elon Musk, per individuare gli sprechi pubblici.
Secondo un report di JP Morgan, la combinazione tra dazi e tagli fiscali potrebbe far salire l’inflazione di circa 2,5 punti percentuali, creando non poche difficoltà alla Federal Reserve, che a settembre ha avviato l’allentamento monetario tagliando i tassi ufficiali di mezzo punto e che si appresta a una nuova sforbiciata domani, questa volta nell’ordine dello 0,25%. Jan Hatzius, capo economista di Goldman Sachs, prevede che le politiche proposte da Trump potrebbero spingere l'inflazione di fondo oltre il 3% nel 2025, superando l'obiettivo del 2% della Fed. Se l’inflazione accelera, occorrerà cambiare rotta e adottare una politica monetaria più restrittiva.
A rischio l’indipendenza
L'indipendenza della Federal Reserve dalle influenze politiche è considerata una pietra miliare della democrazia americana. È essenziale per mantenere il controllo sull'inflazione, sostenere la fiducia del pubblico nella moneta e promuovere una crescita economica sostenibile. Il presidente degli Stati Uniti non ha un controllo diretto sulle decisioni di politica della Fed, ma può influenzarla con le dichiarazioni pubbliche, sino alla possibilità di confermare o meno l’attuale governatore, il cui incarico scadrà nel 2026.
Le ricadute per l’Italia
Non potranno che essere indirette anche le conseguenze per il mercato italiano dei mutui e dei prestiti. La Bce è a sua volta indipendente dalla Fed, ma in realtà viene condizionata dalle scelte di politica monetaria adottate Oltreoceano. Se la Fed sta ferma e l’Eurotower taglia con insistenza, il dollaro tenderà a rafforzarsi sull’euro e questo per noi è un problema, dato che la maggior parte degli scambi relativi alle commodity avviene in dollari e noi siamo tipicamente un Paese importatore. Dunque, anche la Bce corre il rischio di dover frenare l’allentamento monetario.
E pensare che fino a poco tempo fa la maggior parte degli analisti si attendeva da quattro a sei tagli ai tassi da qui alla fine del 2025, che a questo punto diventano di difficile concretizzazione.
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