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Immobiliare, il crack cinese minaccia conseguenze globali
Il classico battito d’ali di una farfalla in Asia che causa uno tsunami in America. In questi giorni stiamo assistendo a una concretizzazione del cosiddetto “Butterfly effect”. La crisi di un’azienda in Cina, Evergrande, sta svelando le fragilità della seconda economia del mondo.
Il classico battito d’ali di una farfalla in Asia che causa uno tsunami in America. In questi giorni stiamo assistendo a una concretizzazione del cosiddetto “Butterfly effect” spesso citato per parlare di globalizzazione. La crisi di un’azienda in Cina, il colosso dell’immobiliare Evergrande, non solo sta svelando le fragilità della seconda economia del mondo, cresciuta molto (forse troppo) in fretta negli ultimi anni, ma costituisce una minaccia concreta anche alle nostre latitudini.
Situazione drammatica
Partiamo dai fatti. Evergrande, che è il secondo più grande sviluppatore immobiliare di tutta la Cina, è a un passo dal fallimento. Fitch, agenzia internazionale di rating (in sostanza assegna una pagella di solidità ad aziende ed enti) ha tagliato da “CC” a “C” il rating sulla società, portandolo quindi a un solo gradino sopra il default. La ragione? Gli analisti ritengono sempre più probabile che il colosso asiatico (lo scorso anno ha fatturato l’equivalente di oltre 65 miliardi di euro) fatichi a onorare i debiti contratti. Il 23 non ha onorato una scadenza di pagamento da circa 80 milioni e il 29 ne ha bucata un’altra da 45 milioni.
Questa situazione ha portato molti analisti a parlare di “Lehman cinese” facendo un parallelismo con l’americana Lehman Brothers, che nell’estate del 2008 vide crollare i rating di affidabilità nel giro di poche settimane e arrivò a dichiarare default. Fu quella la miccia che fece esplodere la grande crisi globale, prima finanziaria (con un accetto particolare sull’immobiliare, dopo lo scoppio della bolla legata ai mutui subprime) e poi anche economica, dalla quale alcuni Paesi non si sono ancora del tutto ripresi. Basti pensare che i valori dell’immobiliare in Italia sono sotto di circa il 15% rispetto ad allora e anche Piazza Affari segna un bilancio negativo di quasi il 40% nonostante il recupero dell’ultimo anno e mezzo.
Le ragioni del crollo
Tornando a Evergrande, le cause del precipitare degli eventi sono molteplici. L’azienda è stata tra i protagonisti della crescita economica cinese negli ultimi dieci anni, caratterizzati da un contributo fondamentale dell’immobiliare. Ha investito a largo raggio sul mattone e, quando le risorse in cassa scarseggiavano, non ha esitato ad accumulare debiti su debiti, nella convinzione che la crescita immobiliare sarebbe durata ancora a lungo e avrebbe garantito ritorni di gran lunga superiori al costo dei finanziamenti.
Il meccanismo ha funzionato per un po’, ma lo scoppio della crisi pandemica e la stretta regolamentare delle autorità cinesi intenzionate a contrastare le bolle nell’economica locale hanno messo in evidenza la fragilità della strategia fin lì seguita.
A quel punto è stato impossibile contrarre nuovi debiti per pagare le rate in scadenza e così tra i creditori e le istituzioni di Pechino è partita la corsa contro il tempo per sperare quanto meno di circoscrivere l’impatto della crisi.
Cosa attendersi ora
Avendo un’esposizione debitoria pari a circa 350 miliardi di euro, i mancati pagamenti rischiano di far crollare banche, compagnie di assicurazione e istituzioni pubbliche che nel tempo hanno foraggiato la marcia di Evergrande.
Inoltre c’è inoltre un numero imprecisato di privati e aziende che hanno già pagato per abitazioni e uffici costruiti dal gruppo immobiliare e che rischiano di vedere il loro progetto non terminato.
Una situazione complessa, dunque, che rischia di produrre una sfiducia generalizzata nel Paese, portando a una brusca frenata della crescita economica. E la Cina non può rallentare, dato che il progresso del Pil è fondamentale per evitare tensioni sociali in un’economia caratterizzata da milioni di persone che ogni anno lasciano le campagne in direzione delle città.
Le possibili conseguenze per noi
Finora il Governo di Pechino ha sempre evitato default di grandi aziende per evitare un effetto a valanga sull’economia nazionale, ma la sensazione è che questa volta l’intervento sia solo parziale, con la speranza che serva a tamponare l’effetto a cascata. Lo impongono le dimensioni del crack e anche la volontà dell’esecutivo di non continuare a offrire un ombrello protettivo a scelte imprenditoriali ad alto rischio.
Quanto a noi, la Cina è tra i principali consumatori al mondo. Se la sua crescita rallenta, cala inevitabilmente la richiesta di prodotti americani, francesi, tedeschi e italiani. Quindi, per il famoso battito d’ali di una farfalla, anche molte nostre imprese si troveranno a fare i conti con un calo del business.
Non è detto, comunque, che le conseguenze saranno solo negative. Combattere la speculazione e gli eccessi consentirà al Governo di Pechino di indirizzare nel medio periodo la crescita su un sentiero più sostenibile. Nel breve termine, poi, il calo della domanda di materie prime potrebbe portare a un rallentamento globale dell’inflazione (a livello globale scenderebbe la pressione della domanda sull’offerta), che tanto preoccupa in queste settimane. A quel punto le banche centrali – compresa la Fed e la Bce – potrebbero continuare a iniettare liquidità nei mercati, rimandando le decisioni su un rialzo dei tassi che rischia di soffocare la ripresa.