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Fed ferma e Bce ancora al rialzo: quali sono le ragioni?
Le strade tra le due sponde dell'Atlantico si dividono, quanto meno per quel che concerne la politica monetaria. Infatti, mentre la Fed statunitense ha deciso di fermarsi, pur sottolineando che potrebbe esservi un ulteriore rialzo in seguito, la Bce ha proseguito nella stretta.
Le principali Banche centrali occidentali hanno smesso di muoversi in maniera coordinata. Per la seconda volta consecutiva la Fed ha lasciato fermi i tassi ufficiali, mentre la Banca centrale europea ha proseguito sulla strada dei rialzi. Cerchiamo di capirne le ragioni e, soprattutto, cosa attendersi da qui in avanti e come questo potrà impattare sulle dinamiche relative ai mutui e ai prestiti.
Tra carovita e recessione
Come già accaduto nella riunione di luglio, la Banca centrale statunitense ha deciso di non ritoccare il tasso ufficiale di sconto, che resta dunque in un intervallo compreso tra il 5,25 e il 5,5%, il livello più alto da 22 anni a questa parte. Questo a fronte di un’inflazione che ad agosto si è attestata al 3,7% contro il 9,1% di luglio 2022. Dunque, il carovita è vicino al livello considerato ideale dagli economisti (in area 2%), anche se l’ultimo bimestre ha registrato un piccolo rimbalzo rispetto al 3% di giugno, dovuto soprattutto alla spinta proveniente dai rinnovi salariali.
Per questa ragione, l’organismo guidato da Jerome Powell ha lasciato aperta la porta a un altro rialzo entro fine 2023. “La Fed è pronta ad alzare ulteriormente i tassi se appropriato”, è il commento laconico di Powell a fine riunione. Accompagnato dalla precisazione che i membri faranno valutazioni “meeting per meeting”, alla luce dell’andamento dei principali indicatori economici, dall’inflazione alla produzione industriale, al PIL. Intanto, l’economia americana sta riprendendo vigore, con le previsioni per l’intero 2023 che vedono il prodotto interno lordo a +2,1% sul 2022 contro il +1% stimato solo a giugno. I consumi stanno rialzando la testa, le imprese hanno accelerato sugli investimenti e le tensioni in campo energetico si vanno stabilizzando.
Questo mentre nell’Eurozona si assiste, invece, a un rallentamento. Il secondo trimestre è stato addirittura negativo sia in Germania, sia in Italia, e le previsioni per il 2023 dell’intera area della moneta unica sono per un modesto +0,8% (+0,9% per l’Italia).
Quanto al Vecchio Continente, la Bce non ha fermato la stretta, alzando di un altro quarto di punto i tassi, con quello ufficiale ora al 4,50%, che comunque è un livello più basso rispetto a quello in vigore al di là dell’Oceano. Un livello che si confronta con un’inflazione che invece è ben più alta di quella americana, al 5,3% (5,5% in Italia).
Va considerato anche un altro aspetto: la Bce ha un vincolo statutario di attivarsi affinché l’inflazione viaggi in area 2%, livello che quindi non è solo desiderabile, ma da conseguire con tutte le forze.
Pro e contro della politica monetaria
Un altro discorso è se e in che misura le scelte di politica monetaria incidono sull’economia reale. Secondo la maggior parte degli economisti, l’impatto del rialzo dei tassi si vede dopo 7-9 mesi. Proprio per questa ragione, sostengono in tanti, dovrebbe spingere l’Eurotower a una maggiore prudenza da qui in avanti, in attesa di capire se le strette fin qui attuate sono state sufficienti a riportare il carovita, se non proprio a un livello ideale, quanto meno in quella direzione.
Anche perché una stretta eccessiva, nella misura in cui incide sull’accesso a mutui e finanziamenti, rischia concretamente di spingere l’area in recessione. E, a quel punto, i tassi alti rischierebbero di zavorrare a lungo l’economia dell’area.
Infine, un altro aspetto da considerare: alzare il costo del credito riduce il denaro in circolazione e questo generalmente raffredda i prezzi, ma questo vale solo per i valori che si formano all’interno di un’area monetaria. Se l’inflazione sale soprattutto per i prezzi dell’energia, che arrivano da Paesi extra-Ue, il rischio di una politica monetaria restrittiva è che produca danni all’economia reale, senza apprezzabili benefici sul fronte dell’inflazione.
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