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Tasse: il regime sul rent to buy

Pubblicato il 10/03/2015

Aggiornato il 18/05/2015

Tasse: il regime sul rent to buy

Previsto dal decreto Sblocca Italia, il rent to buy - argomento al quale abbiamo dedicato anche di recente un approfondimento su MutuiOnline.it - è stato riconosciuto dall’attuale Esecutivo come un nuovo tipo di contratto che lega la locazione a un preliminare di vendita di un immobile.

Il locatario-futuro acquirente potrà usufruire fin da subito dell’immobile, attraverso il pagamento del canone di affitto e in un secondo momento potrà decidere se acquistare il bene, detraendo dal prezzo una parte delle quote versate.

Tuttavia, lo stesso decreto non specificava la natura fiscale della formula: la sua disciplina è arrivata con la circolare n. 4/E del 19 febbraio 2015 dell’Agenzia delle Entrate.

Il regime fiscale a cui è sottoposto il canone versato scinde la funzione di godimento dell’immobile da quella di acconto sul prezzo finale di trasferimento.

Al primo vengono accostate le norme previste per i contratti di locazione, sia per le imposte dirette che per quelle indirette; per il secondo – la parte di canone versata come anticipo del corrispettivo stabilito per la vendita della casa – si adotterà la normativa fiscale prevista per gli acconti prezzo.

Si può usufruire del rent to buy per qualsiasi tipo di immobile: appartamenti, autorimesse, negozi, uffici e anche terreni.

Supponiamo che i soggetti coinvolti siano dei privati: in questo caso, alla parte di canone relativa al godimento – la quota d’affitto – si applica la disciplina fiscale dei redditi fondiari, mentre la misura dell’imposta di registro è pari al 2% (da dividere tra entrambi i soggetti), sia per gli immobili di tipo strumentale che abitativo. In alternativa, sarà possibile optare per il regime della cedolare secca. La parte di canone che costituirà l’anticipo sul prezzo di vendita andrà a formare l’imponibile al momento del rogito.

Se, sempre tra privati, il proprietario cedente vende un immobile non principale entro cinque anni dal suo acquisto, pagherà le imposte sull’aumento di valore che realizzerà: l’acquirente verserà un’imposta di registro del 2% nel caso di prima casa e del 9% in tutti gli altri casi, mentre per l’imposta ipotecaria e catastale saranno dovuti 50 euro per tributo.

Diversa la situazione se a vendere con la formula del rent to buy è un’impresa: la quota di canone relativa all’affitto è solitamente esente da Iva, ma dipende dal regime scelto dalla società.

Per quanto riguarda la quota di pigione relativa all’acconto sulla vendita – in caso di operazione imponibile ai fini Iva –  si applicano le seguenti aliquote:

- ridotta del 4% se il futuro acquirente dichiara di poter beneficiare dei requisiti prima casa e se si tratta di case classificate nelle categorie catastali diverse da A/1, A/8 e A/9;

- aliquota ridotta del 10%, se si tratta di case abitative che hanno la medesima classificazione catastale di quelle che possono fruire dell’agevolazione prima casa;

- del 22% per gli immobili classificabili nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9 e per gli immobili strumentali.

L’imposta di registro dovuta, sempre per acconti prezzo soggetti a Iva, è nella misura fissa di 200 euro: stesso importo per imposta ipotecaria e catastale. Invece, per quelli in esenzione Iva è dovuta una imposta di registro del 2% o del 9%, con un minimo di mille euro, mentre l’imposta ipotecaria e catastale sono pari a 50 euro ciascuna.

Alla parte di canone connesso al godimento dell’immobile si applica un’imposta di registro pari al 2% per i contratti esenti da Iva; si versa un fisso, se si è in regime di imponibilità Iva, di 67 euro per il contratto stipulato per scrittura privata o di 200 euro se redatto per scrittura privata autenticata o in forma pubblica.

A cura di: Paola Campanelli

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